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Grassa

Entro nella stanza e tutti gridano grassa, cicciona, bombardona, barca e balena, ovviamente ciccia bomba e altri epiteti che non ho alcuna voglia di aggiungere. Poi i sadici si fondono in un coro, cantano intonati e a tempo, battono le mani ritmando quello che è diventato un gradevole pezzo a cappella. Insomma, è orecchiabile, abbasso lo sguardo in terra e mi accorgo che sto battendo i piedi. Mi odio con tutta me stessa. L’assuefazione alle proprie umiliazioni sino a farle divenire addirittura piacevoli? No, non sono pronta a questo, per fortuna. Così corro via e cado dalle scale.
Dissolvenza.
Caspita, un classico, a tratti grottesco, ma siamo nel banale, ecco. Roba già vista, insomma. Puoi fare di più, dai.
Non l’avessi mai detto. Riapro gli occhi e una folla di postini inferociti, con la classica divisa da film e la borsa a tracolla, mi circonda. È un horror di serie B, è chiaro: la notte dei postini viventi. Ed è la scena clou, quella in cui la donna obesa viene sbranata viva dai mostri. L’inquadratura si sposta sul pubblico. Non è un cinema, bensì una sorta di teatro, dove la gente non sta in poltrona a guardare lo spettacolo, ma si fa i fatti propri, nella più totale indifferenza. Il tutto mentre gli esseri sbavanti e con le zanne affamate si avvicinano alla sottoscritta, incapace di muoversi. D’accordo, l’immobilità improvvisa nelle scene di pericolo imminente è un effetto speciale ormai trito, ma l’idea del cinema che diventa teatro non è male. E poi gli spettatori rimangono distaccati fino al momento finale, dove i portalettere inferociti sono ormai su di me. Tuttavia, invece di addentarmi e cibarsi delle mie carni, mi sollevano e mi gettano dalle scale.
Okay, c’è aria di novità, te lo concedo, ma sono ancora convinta che puoi fare di meglio.
Stavolta non c’è dissolvenza, senza tagli la camera rimane su di me che rotolo lunga la scalinata e dopo un tempo eccessivamente lungo – consiglierei un deciso accorciamento in fase di montaggio – finisco sul pavimento ai piedi di lui, Harry Beau. E cosa fa il più adorato idolo della mia adolescenza rubata dal coma? Cosa fa il più figo della boy band maggiormente in voga prima che la bianca notte s’impadronì del mio tempo? Cosa fa… okay, basta, anche questa la tagliamo. Si avvicina, mi guarda con il suo proverbiale sorriso smagliante da fine clip su Youtube, prende la mia mano e mi aiuta ad alzarmi. Vieni con me, dice, andiamo a mangiare qualcosa.
Caspita, come parli bene la nostra lingua, mormoro con la voce tremante per l’emozione.
Ma io sono italiano, risponde, vivo a Catanzaro e sono più di trent’anni che faccio l’idraulico. Si guadagna bene, sai?
Ma che cazzo dici? Avrei detto, ma non c’è l’ho fatta. Non avrei potuto esprimermi in maniera volgare con lui, il mio Harry.
Invece gli ho detto: con quella bocca puoi essere chi vuoi, per me, basta che mi porti con te. A mangiare qualcosa, hai detto?
Lui risponde con un cenno affermativo del capo, senza smettere di sorridere.
Harry, hai una paresi o cosa? Ho pensato e anche questo non detto.
Siamo entrati in un ristorante di quelli ignoranti, con l’insegna povera, l’arredamento trascurato e i tavolacci di una volta. Ma i piatti, signori miei, le cose che ci hanno portato… credo di non aver mai ingerito alcunché di talmente saporito e in quantità industriali, peraltro. Poi però la trama è deragliata su generi inaspettati. Man mano che ingurgita bocconi e manda giù bicchieri di rosso, Harry comincia a ruttare e parlare in modo strano.
Cioè, strano per una rockstar inglese. Dal calabrese al napoletano, dal toscano al siciliano, il mio mito di una volta sembra conoscere ogni dialetto nostrano, una sorta di Juke Box umano di parlate regionali. E fin qui, avrei potuto starci. Qual è il problema, Harry? Sei di Catanzaro, non sei più giovane come un tempo, visto che sono decenni che gli dai di chiave inglese e pappagallo, ti diverti con i dialetti, ma cosa conta? Caspita, cosa conta se ti guardo e vedo comunque te, Harry il bello? Quest’ultima l’ho proprio detta, dopo il secondo e subito prima di ordinare il dessert.
Non l’avessi mai fatto. Harry smette di sorridere e diventa serio. Io faccio lo stesso e lui sbotta a ridere sguaiatamente. Di me, ride di me, mi punta con l’indice destro e sghignazza. È lì che mi inquieto e inizio a sospettare l’inghippo. Il mio Harry è mancino, lo sanno tutti, mi avrebbe additata con l’altra mano. Forse è un caso, ma poi realizzo che per tutta la serata ha usato la destra per fare qualsiasi cosa, da quando mi ha aiutata ad alzarmi a usare posate e bicchiere.
Sei ambidestro? Chiedo con vana speranza e lui si sganascia ancora più villano di prima. No, sei tu che non hai capito nulla, risponde a fatica, soffocato dalle risa. Quindi inizia a cambiare davanti ai miei occhi. Come se un’invisibile pompa si sia impadronita del suo corpo, tipo quelle da spiaggia per gonfiare i canotti. Grassone, bombardone, ciccia bomba, Harry Beau è come me. Come ero io. Ma non si accontenta, diventa ancora più grasso, sempre di più e, senza smettere di ridere, urla. È tutto un colossale, finto e colorato spettacolo. Quindi esplode e io vengo scaraventata fuori dal ristorante e mi ritrovo di nuovo a cadere dalle scale.
Caspita, lo sapevo che avresti potuto osare di più, amico mio. Ho sempre detto che l’inconscio è, e sempre sarà, il più inarrivabile sceneggiatore della storia.
Poi mi sono svegliata e ho iniziato il secondo giorno della mia seconda vita.

Da Carla senza di Noi  

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Video dallo spettacolo teatrale e musicale dell'omonima band